Il Cristo morto di Andrea Mantegna (Galleria di Brera)

Gli auguri di don Stefano Peretti ai lettori de La Reggia

Cari amici, all’alba del giorno santo in cui il nostro Signore e Maestro istituì il farmaco della nostra immortalità, l’Eucaristia, vi giunga il mio augurio, che si fa preghiera, spero reciproca, affinché l’augurio di buona Pasqua che ci scambiamo diventi l’evento di una Santa Pasqua.

Come può la Pasqua non essere semplicemente buona, ma diventare soprattutto santa?

Non gli orpelli dell’apparire, ma la sostanza di credere ed essere.

Nel giorno di Pasqua sentiremo nella liturgia che l’evento della Risurrezione è il fondamento di tutta la vita cristiana, perché è il punto di arrivo e di partenza dell’intera azione liturgica della comunità che celebra il mistero di Cristo.

Il brano evangelico della liturgia del giorno di Pasqua (Gv 20,1-9) ci delinea la balbettante e ardimentosa fatica per la persona, di allora e anche di oggi, di giungere all’atto di fede nella risurrezione del Signore. 

Maria di Magdala, Pietro e Giovanni, sentono tuffare nell’angoscia i loro cuori alla scoperta della tomba vuota, ma hanno il coraggio di compiere il cammino interiore che li condurrà dallo sconcerto iniziale alla comprensione del mistero.

Vi invito a porre attenzione sui tre verbi impiegati nella narrazione giovannea: si tratta del verbo vedere, utilizzato in tre modalità diverse. 

  • Il primo, il verbo blépein, utilizzato per l’azione di Maria di Magdala che «vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro» (v. 1) e di Giovanni che «vide le bende per terra, ma non entrò» (v. 5); questo verbo esprime la percezione visiva da un punto di vista prevalentemente materiale, il vedere con gli occhi[1]
  • Il secondo verbo theorèin in riferimento a Pietro che «entrò nel sepolcro e vide» (v. 6); questo verbo indica invece una visione di stampo intellettivo, un guardare con attenzione, un osservare intensamente, come nei casi in cui il verbo viene usato per descrivere la vista dei segni che Gesù compie, ma che non produce una piena comprensione[2].
  • Infine il verbo horàn, infine utilizzato nel momento finale in cui Giovanni «vide e credette» (v. 8), tale accezione verbale definisce spesso una vista accompagnata da una precisa comprensione spirituale, che va al di là della semplice percezione ottica, possibile solo a chi ha gli occhi della fede[3]; dopo la risurrezione, infatti, Gesù sarà invisibile allo sguardo umano, ma per il dono dello Spirito i discepoli continueranno a vederlo nella fede.

La Pasqua del Signore, quindi, segna una svolta decisiva nella storia dell’uomo e la orienta, non verso la fine, ma verso “il fine”. 

La celebrazione eucaristica implica questa capacità di vedere con la fede. 

Per questo non deve mai mancare la Messa domenicale ed è vivamente auspicata quella feriale!!!

La Pasqua di Cristo celebrata nei “sacri misteri” non abbaglia con fenomeni straordinari che s’impongono alla vista, ma nutre lo “sguardo della fede”. 

Uno sguardo capace, non solo di riconoscere la presenza di Cristo nella Parola proclamata e nel Pane spezzato, ma anche capace di vedere la propria vita nella dinamica pasquale inaugurata da Cristo. 

La Pasqua di Cristo non è un semplice evento da celebrare. Essa illumina e trasforma la vita del credente. 

I discepoli non hanno visto e non hanno mai descritto come Gesù sia uscito dal sepolcro, eppure noi non esitiamo a credere che Gesù è risorto: non soltanto perché i discepoli dicono: «Abbiamo visto il Signore!», ma perché ne parlano da persone risorte. 

Maria, Pietro e Giovanni hanno detto che la pietra è rotolata via dal sepolcro, ma soprattutto hanno fatto capire con il loro essere e operare che una grossa pietra è rotolata via dal “loro” sepolcro, dove si trovavano rinchiusi, spinti dalla paura e dalla delusione.

Signori, Signore, cari amici: crediamo noi nel Risorto?

Quando dico: «Il Cristo è risorto!», è in gioco il senso totale della mia vita, ma più che altro so che l’Amore, per quanto vulnerabile e perdente, esce vincitore, come quello di Gesù, da tutte le prove. 

Se credo in Cristo risorto, sono certo che anche dentro situazioni governate, così almeno sembra, da una ferrea necessità ci sono varchi, aperture, squarci verso un oltre che non è solo temporale o spaziale, ma si fa possibilità e speranza nuova dentro il nostro vivere.

Così da credenti, pur vacillanti, diventiamo credibili!

La verità della risurrezione, infatti, va annunciata in silenzio (sembra una contraddizione, ma non lo è) e con un sorriso, cioè con grande discrezione, pudore, delicatezza e struggimento interiore, come un fiorire, dal cuore, di una gioia che diventi visibile attraverso il sorriso, l’ottimismo, la fiducia, la volontà di comunicare a tutti le ragioni della propria speranza.

Che ciascuno di noi, pur nella continua esperienza della caducità del peccato, possa sperimentare la bellezza della esaltante professione di fede pasquale di Tommaso: “Mio Signore e mio Dio” e dirlo con occhi luminosi e commossi.

Buona e Santa Pasqua a tutti!
Don Stefano


[1] 9 delle 17 ricorrenze del verbo blépein nel IV Vangelo si trovano concentrate nel cap. IX.

[2] cfr. Gv 2,23-24; 6,2.

[3] Come appare ad esempio nell’affermazione di Gesù durante l’ultima cena: «Ancora un poco e non mi vedrete (theorein), un po’ ancora e mi vedrete (horàn): Gv 16,16.